Ai tempi del Grand Tour, i viaggiatori erano soliti visitare anche l’Italia, e tra le mete irrinunciabili c’era la città di Bologna. Le voci si erano diffuse, Bologna aveva un grande fascino, con la sua atmosfera enigmatica, i portici sconfinati, le Due Torri, la fontana del Nettuno, piazza Maggiore e la basilica di San Petronio. Senza dimenticare l’Alma Mater Studiorum e la sua autorevolezza plurisecolare, e quasi in controcanto l’aspetto più dimesso della città, la bohème, tra locali e biasanòt, e ancora il carnevale, le serate dei grandi Valzer, e la gola, peccato capitale al quale nella Bologna gourmand non si poteva di certo sfuggire.
Ci sono però altri elementi caratterizzanti la città felsinea che non sono passati inosservati ai visitatori dell’Ottocento: pare infatti che a catturare l’attenzione di donne e uomini del calibro di Madame de Staël e Goethe ci siano stati anche il dialetto e la pietra di luna.
Almeno da quanto trapela dai loro testi: la scrittrice francese riscosse enorme successo con la pubblicazione, nel 1807, di Corinne ou l’Italie, le cui vicende si snodano tra Roma, Napoli, l’Inghilterra, Firenze e anche Bologna. Colei che venne definita da Stendhal «la donna più straordinaria mai vista» proprio nella città petroniana ebbe modo di udire la parlata del luogo, tanto elogiata da Dante Alighieri nel De vulgari eloquentia, «Diciamo allora che forse non giudicano male quanti affermano che i bolognesi parlano la lingua più bella di tutte, dato che essi assumono nel proprio volgare qualche elemento da quanti li circondano, imolesi, ferraresi e modenesi: operazione che a quanto supponiamo compie chiunque nei confronti dei propri vicini».
Ebbene, a Madame de Staël il dialetto bolognese non piacque particolarmente, anzi; leggiamo infatti in Corinne ou l’Italie, «Lucy ascoltò il melodioso Italiano, di cui aveva sentito parlare, ma il dialetto bolognese la deluse dolorosamente. Al nord non può esistere nulla di più duro».
E nemmeno Goethe si espresse in toni entusiastici sulla lingua di Bologna e dintorni, «Il bolognese è un orribile dialetto, che io qui non mi sarei affatto aspettato. Aspro e smozzicato. Non capisco un’acca quando parlano fra di loro; il veneziano al confronto è luce di mezzodì», scrive in Viaggio in Italia.
Diversi invece i segni che lasciò nell’animo dello scrittore tedesco la pietra di luna, una varietà di minerale la cui caratteristica principale è l’adularescenza, ovvero la capacità di illuminarsi con l’approssimarsi del buio, «Mi par d’essere Anteo, che si sentiva sempre più saldo in forze quanto più veniva a contatto con la madre sua, la terra. Ho fatto un’escursione a cavallo, a Paderno, dove si trova la così detta Pietra Bolognese dalla quale si ricavano quelle pietruzze, che risplendono all’oscuro che qui si chiamano senz’altro fosfori. Mi sono poi inerpicato su per i burroni della montagna decomposta in blocchi, lavati dagli acquazzoni recenti e con mia soddisfazione ho trovato lo spato pesante, che cercavo, in abbondanza». La pietra di luna piacque così tanto a Goethe da tornare anche ne I dolori del giovane Werther, «Si racconta della pietra di Bologna che, se la si lascia al sole, ne assorbe i raggi e per un certo tempo splende nell’oscurità. Lo stesso mi pareva che fosse successo a quel giovane. Il sentimento che gli occhi di Lotte si erano posati sul suo volto, sulle sue guance, sui bottoni della giacca e sul bavero del soprabito, mi rendeva tutto lui sacro e inapprezzabile! In quel momento non avrei ceduto quel giovane per mille talleri».
Ma le singolarità della città felsinea si sarebbero palesate anche in altre forme, come non mancò di notare prima il politico russo Pëtr Andreevič Tolstoj sul finire del XVII secolo, «A Bologna ci sono molti cani meravigliosi, noti in tutto il mondo per la loro bellezza e la loro taglia straordinariamente piccola. Costano moltissimo: per un buon cane bisogna pagare 20 e anche 30 ducati d’oro», e poi l’editore olandese Pieter Van Der Aa qualche decennio più tardi, «I piccoli cani bolognesi sono estremamente cari e graditi alle dame, per la loro tenerezza, è per questo che una nobile dama pagò un giorno, dicono 400 scudi, per una sol messa, che essa fece dire in onore del suo piccolo beniamino».
Sotto le Due Torri, però, ad abbondare non erano solo i graziosi amici a quattro zampe, come tenne a far sapere Théophile Gautier, «Un’osservazione puerile forse, ma che abbiamo già fatta nei nostri viaggi è questa, che si potrebbe dietro il numero dei barbieri contenuti in una città o paese, farsi un criterio sul più o meno incremento della civiltà. A Parigi ve ne sono pochissimi, a Londra punto. La patria de’ rasoi si fa la barba da per sé. Senza voler accusare la Romagna di barbarie, è giusto dire che in nessun altro luogo ci occorse di vedere una così grande quantità di barbieri come a Bologna; in una sola via se ne contano più di una ventina in ispazio ristrettissimo, e ciò che vi è più grazioso si è che i cittadini bolognesi portano la barba».
Difficile credere che Bologna si sentì toccata dalla riflessione del francese, anche perché sul tema la città petroniana può addirittura vantare una filastrocca, a firma Giovanni Pascoli e in dedica al barbiere fidato, Alberto Fabrizi, «Questo che sembra arnese di cliniche e di ospizi è la poltrona del parrucchiere Fabrizi». La bottega di Alberto, al civico 6 di via IV Novembre, è oggi il salone da parrucchiere del pronipote Mauro, che con un certo orgoglio conserva le cartoline che il poeta de La cavallina storna inviava all’amico ogniqualvolta si allontanava da Bologna.
Sia come sia, non si contano le opere letterarie e non in cui la dotta, la grassa, la rossa ha trovato posto, avendo magnetizzato a sé, nel corso dei secoli, tantissimi poeti, scrittori e artisti le cui parole hanno contribuito a rendere ancora più affascinante la città.
E se mai si desiderasse immergersi nella Bologna vista attraverso gli occhi delle grandi firme del passato, si può visitare la mostra letteraria Bologna. Dicono di lei, che si terrà dal 13 novembre 2021 al 30 gennaio 2022 nel Museo Civico Archeologico. Si tratta di un percorso multimediale, tra videoproiezioni, installazioni audio e memorabilia, articolato in diverse sale tematiche, con l’intento di catapultare i visitatori nelle atmosfere evocate dalle citazioni tratte da Giacomo Leopardi, Charles Dickens, Pier Paolo Pasolini, Ernest Hemingway, Guido Piovene, Lord Byron, Aldous Huxley e tanti e tanti altri ancora…
Bologna nel tempo ha saputo fare proseliti.
Antonio Scerbo