Bologna non è solo rossa, le sue tinte non derivano esclusivamente da quel colore che Giuseppe Raimondi definisce «carnale» e che per Guido Piovene «richiama il sangue umano». Bologna è anche nera, o meglio, noir. E per quanto non si contino più i thriller ambientati a Bologna, tra misteri e personaggi equivoci capaci di evocare il lato oscuro della città, bisogna ammettere che la realtà, a Bologna, ha sempre avuto la meglio sull’immaginazione.
Sin dai tempi di Giacomo Leopardi, che il 3 luglio 1836 scriveva al padre «La frequenza degli omicidi in questi ultimi giorni è stata qui veramente orribile; ma io ho preso il partito di non andar mai di notte se non per le strade e i luoghi più frequentati di Bologna, sicché fintanto che non assassineranno in mezzo alla gente (nel qual caso il pericolo sarebbe altrettanto di giorno, come di notte), non mi potrà succedere sicuramente nulla».
Leopardi era scomparso da tempo quando nel 1864 venne istruita la Grande Causa Bolognese contro la balla dalle scarpe di ferro, con a capo Pietro Ceneri. In quel periodo a Bologna e dintorni imperversava l’Associazione dei Malfattori, che attraverso le sue combriccole, le varie balle, controllava l’intero territorio. Il processo, che vedeva imputate ben 110 persone, si protrasse nel tempo, tanto da venir rinominato causa longa. Le condanne infine arrivarono, tra lavori forzati a vita, un numero elevatissimo di anni di carcere, e qualche ergastolo, come nel caso di Ceneri e di suo fratello, catturati in mare mentre si dirigevano ad Alessandria d’Egitto dopo una rapina a Genova. Ceneri però nel 1867 riuscì a evadere, si rifugiò in Sudamerica e venne di nuovo arrestato nel 1881, e infine estradato in Italia. Personaggio leggendario, Pietro Ceneri sarà citato da Giosuè Carducci in Confessione e battaglie, mentre Loriano Macchiavelli gli dedicherà il romanzo La balla dalle scarpe di ferro.
E se l’Ottocento bolognese in quanto a crimini e misfatti ha avuto il suo bel da fare, non è stato da meno il Novecento, solcato da delitti che hanno sconvolto l’opinione pubblica di tutta Italia.
Era il 1902 quando venne assassinato il conte Francesco Bonmartini, per mano di Tullio Murri, con la complicità della sorella Linda, moglie del conte. E se da una parte Luca Steffenoni riporta il caso Murri tra I 50 delitti che hanno cambiato l’Italia, dall’altra resta celebre l’arringa dell’avvocato Scipio Sighele, durante il processo del 1905 tenutosi a Torino, «Ricordate, signori giurati, il primo momento, ormai tanto lontano, in cui si sparse per tutta Italia la notizia dell’assassinio? I giornali attenuavano la pietà per la vittima, distendendo nelle loro colonne i particolari lubrici della scoperta del cadavere in mezzo ai resti di un’orgia, narrando della vita dissoluta del Conte, del suo pessimo contegno come marito, della sua volgarità morale e ponendo a raffronto di lui, vittima oscura e spregiata, l’impeccabile elevatezza morale della famiglia della moglie e facendo sventolare su di questa la fama scientifica di Augusto Murri. Era il veleno di Tullio Murri che produceva il suo effetto e intorbidava la corrente dell’opinione pubblica. Una causa nobile la nostra, poiché non si tratta soltanto di stabilire da chi il conte Bonmartini fu materialmente ucciso, ma si tratta di rivendicare la memoria di Lui. Di Lui che fu doppiamente ucciso, col ferro e colla diffamazione. Il momento in cui, squarciato il corpo da 16 ferite, il conte Bonmartini cadde a terra è un breve assassinio in confronto alla lunga tortura morale che lo fece soffrire per anni; e le pugnalate di Tullio Murri e del suo complice sono povera cosa in confronto alla perfidia con cui si cercò di fuorviare la giustizia, in confronto a quella messa in scena volgare che dalle bottiglie di champagne al letto disfatto, dalle mutandine al biglietto femminile, rivelano i gusti ed i vizi del maggiore colpevole, il quale li voleva generosamente attribuire alla vittima».
E Achille Melchionda, con le parole tratte da Il delitto Nigrisoli. Il caso che negli anni ’60 sconvolse Bologna e l’Italia intera, introduce l’ennesimo caso di cronaca nera che riguarda la città petroniana, «la notte fra il 13 ed il 14 marzo 1963 il dott. Carlo Nigrisoli sveglia tutto l’appartamento della clinica riservato ad abitazione della famiglia, e suo in particolare, chiedendo di essere aiutato ad occuparsi dello stato di salute di sua moglie Ombretta, che lui stesso sta portando sulle braccia verso l’infermeria, riferendo a tutti i soccorritori, medici, suore, che entrando nella camera da letto coniugale ha visto la moglie immobile, col capo penzoloni fuori del materasso, visibilmente e tangibilmente già priva di vita». Carlo verrà condannato all’ergastolo, con l’accusa di aver somministrato alla moglie Ombretta Galeffi un’iniezione letale di sincurarina, nient’altro quindi che una puntura di curaro.
Le coscienze furono nuovamente scosse qualche decennio dopo, tra gli anni Ottanta e Novanta, con il caso Alinovi. Secondo la sentenza, a uccidere la trentacinquenne Francesca Alinovi, docente del DAMS di Bologna, fu Francesco Ciancabilla, pittore, con il quale Alinovi aveva intrapreso una relazione.
Nella prefazione al suo romanzo Falange armata, Carlo Lucarelli ripensa invece al terrore seminato dalla Banda della Uno bianca anche a Bologna, «che vivessimo in una città nera che potesse fare purtroppo da degno sfondo a un romanzo giallo, questo noi bolognesi lo sapevamo da un pezzo sia dalle cronache del Carlino che dai romanzi di Macchiavelli, ma che la nostra città fosse così nera, quello non riuscivamo neppure ad immaginarlo. Carabinieri sterminati in agguati notturni, extracomunitari e nomadi presi di mira da cecchini, rapine con esecuzioni a sangue freddo di testimoni e un bottino inferiore alle duecentomila lire, bombe nelle banche… pazzesco anche per New York», e sembra riecheggiare Ernest Hemingway, che definì Bologna «più dura di Memphis».
E se mai la realtà, la cronaca nera che ha puntellato Bologna, non dovesse bastare, se mai si cercasse un surplus noir, ecco Sarti Antonio, il commissario De Luca, gli ispettori Coliandro e Grazia Negro, e gli investigatori privati Gino Mastruzzi e Giorgia Cantini… Del resto Loriano Macchiavelli, Carlo Lucarelli, Pino Cacucci e Grazia Verasani hanno potuto attingere a piene mani: Bologna, suo malgrado, ha avuto di che ispirare.
Prova ne siano anche le grandi personalità attratte dalla città petroniana, donne e uomini di lettere, poeti, scrittori e artisti fatalmente attratti da Bologna, e le cui parole possono essere rilette e rivissute nella mostra letteraria Bologna. Dicono di lei, dal 13 novembre 2021 al 30 gennaio 2022, nel Museo Civico Archeologico: un percorso immersivo, multimediale, con installazioni audio, videoproiezioni e memorabilia, che permette di esperire Bologna e i luoghi simbolo di Bologna, di cui tanto, con ogni evidenza, è stato scritto.
Antonio Scerbo