Se da bambini si è ricevuto in regalo una bicicletta, senza magari però aver provato la delusione di Giuseppe Berto nello scoprire che la dueruote era purtroppo da donna, «con la retina alla ruota di dietro perché non s’impiglino le gonne nei raggi, e mi dicono che dopo averci pensato sopra l’hanno comprata da donna perché così serve anche per le sorelle tanto io l’adopero solo nei tre mesi dell’estate e per il resto dell’anno vado in collegio, [ …] e io dico va bene per quanto sia doloroso andare con la bicicletta da donna insieme agli altri studenti del paese»; se si è rimasti impressionati dalle grandi imprese ciclistiche del Giro d’Italia, come accadde ad Anna Maria Ortese con Fausto Coppi, «veniva avanti in un modo incredibile, anche per un profano: senza sforzo con una leggerezza e una violenza che non gli costavano nulla, quasi precipitasse e il suo unico impegno consistesse nel dominare quella potenza», o a Dino Campana, rapito dalla performance del concittadino Domenico Vanni, vincitore della Firenze-Marradi, «Dall’alto giù per la china ripida / O corridore tu voli in ritmo / Infaticabile. Bronzeo il tuo corpo dal turbine / Tu vieni nocchiero del cuore insaziato. / Sotto la rupe alpestre tra grida di turbe rideste / Alla vita premeva, gagliarda d’ebbrezze. / Bronzeo il tuo corpo dal turbine / Discende con lancio leggero / Vertiginoso silenzio. Rocciosa catastrofe ardente d’intorno / E fosti serpente anelante col ritmo concorde del palpito indomo / Fuggisti nell’onda di grido fremente, col cuor dei mille con te. / Come di fiera in caccia di dietro ti vola una turba»; se è capitato di immergersi nella lettura di romanzi come Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, o come Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, in cui i protagonisti si muovono quasi esclusivamente a colpi di pedale; se l’autore di Una questione privata ha fatto sì che si pensasse immediatamente a Cesare Pavese, che come Fenoglio, oltre a nascere nelle Langhe, ha vissuto sulla pelle le conseguenze delle sue posizioni antifasciste; se della dueruote non si può fare a meno, perché oggetto di un’autentica passione, o perché più semplicemente proprio principale mezzo di trasporto; se si ha in programma un viaggio in uno dei tanti luoghi incantati del nostro Paese, magari in sella a una bicicletta, ebbene, sarebbe un vero peccato esimersi dalla lettura di La bicicletta. Dicono di lei. Pedalate d’autore, la nuova guida letteraria di Elleboro Editore, ormai in libreria da oltre un mese… Si tratta di una raccolta di citazioni dai tanti dei più grandi autori del Novecento italiano letterario e non solo, scrittori, poeti e artisti che hanno subito tutto il fascino della dueruote, raccontando il loro tempo, in poesia, in prosa, con occhi e cuore pieni di sentimento. Un caleidoscopio di ricordi, aneddoti, racconti e testimonianze, e immagini, fotografie e mappe a impreziosire le pagine: basta una rapida scorsa a La bicicletta per ritrovarsi nell’Emilia-Romagna di Alfredo Oriani, «Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione, andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo, senza servitù come in treno», o nel Veneto, in cui a fare compagnia al povero Berto c’è Luigi Meneghello, che fu anche un ciclista professionista, «la loneliness del long-distance runner non è niente di fronte a quella dell’aspirante routier che s’allena per il giro di Francia. In verità questa solitudine è orribile; lo sforzo sparge veleno in ogni parte del corpo, il dolore serpeggia ora al centro del petto, ora a sinistra dove c’è il cuore che si sente chiaramente trapassare da aghi infetti. S’intorce un cordone di muscoli, poi un viscere della pancia, poi una vena del collo. […] Il ciclista ipnotizzato si agita in modo meccanico e imprevedibile, e le sue convulsioni spingono come per caso la bicicletta. Tutto ciò si percepisce come una forma di solitudine».
In Friuli, poi, impossibile non imbattersi in Pier Paolo Pasolini – che di pedalata in pedalata di chilometri ne macinò, eccome, «ad ogni modo una cosa bella da essere confusa con un sogno l’ho avuta: il viaggio da S. Vito a qui, in bicicletta. Esso appartiene a quel genere di avvenimenti che non possono essere raccontati senza l’aiuto della voce e dell’espressione. L’alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, le cime e le valli nebbiose irraggiate dall’aurora» – e nel cugino Nico Naldini, inseparabile compagno d’avventura, «se lui prendeva la bicicletta, aspettava che io prendessi la mia, una biciclettina più piccola, e si andava al Tagliamento, i primi tempi, e poi, negli anni successivi, in giro per le balere, le feste di campagna. È stato il momento più felice della mia vita. Un giorno, tornando da un paese che si chiamava Malafesta, quindi in pieno García Lorca diciamo, eravamo così felici, tornando a casa, di quello che ci era successo, delle amicizie che avevamo fatte con i ragazzi contadini del posto eccetera, che lui dice: “Siamo vicini al Tagliamento, andiamo nel greto e ci tagliamo le vene”».
E non sono da meno gli autori della Lombardia, là dove la bicicletta non è solo il veicolo in sé col suo ciclista, ma elemento che si fonde con il paesaggio e ne arricchisce lo sfondo, come capita in Luciano Erba, tra fonderie, fabbriche e stazioni teatro degli affanni della classe operaia, «attendersi al solo ponte della città / sopra l’acqua ammalata. Cercarsi / tra lunghe pedalate di fonditori / lasciare che il giorno ci abbagli / dietro ardenti armerie / che ai piloni urti il sonno / di molli flottiglie di detriti», senza dimenticare la Milano della Resistenza e di Elio Vittorini, che in Uomini e no attraversa con il protagonista Enne 2 e l’amata la città, «chi passava li vedeva: l’uomo che teneva la bicicletta con una mano, lei che piangeva sulla sua spalla; ed era gente di ritorno dai morti, non se ne stupiva. Quando finì, Berta chiese: “Non mi prendi in canna?” Egli montò sulla bicicletta e la prese in canna. “Ti stancherai” le disse. […] Andarono un pezzo per morte strade; di dentro Porta Romana verso la cerchia dei Navigli, e poi sulla cerchia dei Navigli, verso San Lorenzo, verso Sant’Ambrogio, verso le Grazie, sempre per morte strade, tra case distrutte, nel sole di foglie morte dell’inverno».
Invece nella tappa in Piemonte La bicicletta. Dicono di lei. Pedalate d’autore accosta alle vicissitudini di Fenoglio e Pavese l’esperienza terribile di Primo Levi e della Shoah, stemperando però i toni con le righe che l’autore de La tregua dedica alle gioie della sua giovinezza, divisa tra alpinismo e, naturalmente, pedali, sella e manubrio, «non era assurdo l’impulso che ci spingeva allora a conoscere i nostri limiti: a percorrere centinaia di chilometri in bicicletta, ad arrampicarci con furia e pazienza su pareti sconosciute», e strappando più di un sorriso con Italo Calvino e Marcovaldo, che «attraversava la città sotto la pioggia dirotta, curvo sul manubrio della sua bicicletta a motore, incappucciato in una giacca-a-vento impermeabile. Dietro, sul portapacchi, aveva legato il vaso, e bici uomo pianta parevano una cosa sola, anzi l’uomo ingobbito e infagottato scompariva, e si vedeva solo una pianta in bicicletta. Ogni tanto, da sotto il cappuccio, Marcovaldo voltava indietro lo sguardo fino a veder sventolare dietro le sue spalle una foglia stillante: e ogni volta gli pareva che la pianta fosse diventata più alta e più fronzuta».
Un viaggio, con Elleboro Editore e con La bicicletta, capace di ispirarne tanti altri, per dare ossigeno ai muscoli e rinvigorire lo spirito, senza alcun peso, solo seguendo la scia dei propri desideri, spesso contenuti tra le righe della grande letteratura: ci sono firme che a volte sembrano spianare la strada a chiunque voglia mettersi in cammino.
Se in bicicletta, con La bicicletta, tanto meglio.
Antonio Scerbo