C’è il Veneto barbaro di muschi e nebbie di Goffredo Parise, e c’è il Veneto felice di Giovanni Comisso, quel Veneto da percorrere in bicicletta, in sella a una passione che accomunò i due scrittori.
Passione che sa farsi scrittura, poesie e romanzi, le voci dell’arte che con due ruote ricamano traiettorie lungo le pagine de La bicicletta. Dicono di lei. Pedalate d’autore, la nuova guida letteraria di Elleboro Editore da pochi giorni in libreria…
Comisso come Parise viaggiò in lungo e in largo, e come l’autore de Il prete bello ne ricavò reportage, pur consapevole che, in fondo, «tutto il mondo è in un metro quadrato», in un lembo di terra, magari sul fiume Zero, in una casetta dove stare insieme alla propria madre, per venticinque anni, e magari scriverne, ne La mia casa di campagna, «il posto era bellissimo, pure essendo in pianura, isolato nella campagna, le montagne sfumavano lontano, cineree come le Colline dell’Occidente viste da Pechino, un fiume fluiva lento come i canali di Olanda, vi erano campi gialli di colza come a primavera attorno a Sciangai e ciliegi in fiore come sulle montagne di Nicco e prati verdi e grassi come nei dintorni di Londra. Perfino una casa di contadini prospiciente alla mia era costruita a tetti sovrapposti come quelle dell’Oriente. Queste apparenze cominciarono a convincermi che tutto il mondo sta in un metro quadrato, ma sentivo anche formarsi in me una nuova formula di vivere, senza più tanto viaggiare, per restare fermo approfondendomi dentro di me».
Scrivere a volte ha un che di necessario, può capitare di non potersene sottrarre, forse per mettere in chiaro i passaggi di una vita, forse nel tentativo di inchiodare il male: un sentimento di profonda vergogna attecchì in Giuseppe Berto nel momento in cui ricevette in regalo dal padre una bicicletta da donna, e non la tanto desiderata bicicletta da corsa, «e così scavo nella mia solitudine e nel mio avvilimento pensando che un giorno glielo farò vedere a tutti questi veneziani chi sono io, ma intanto sono uno che ha una bicicletta da donna, uno che sta sempre in disparte ad aspettare che lo chiamino. […] E piango molte volte di completa infelicità quando vado solo per sentieri di campagna con la bicicletta da donna e sale la luna sulla sconfinata pianura, la luna grande contro i pioppi scuri e i platani. […]Dio santo non ho neanche quattordici anni e ho già una così grande voglia di morire».
Il male oscuro testimonierà attraverso un flusso di coscienza gli stati depressivi dello scrittore nato a Mogliano Veneto. Niente però ostacolò le pedalate di Berto, non nella sua città, non a Treviso né sul fiume Sile, de Il cielo è rosso, «tra gli acquitrini s’apriva una quantità di polle piccole e poco profonde, con un’acqua chiara che continuamente filtrava dal fondo erboso e si riuniva in canali, cercandosi senza rumore un passaggio verso il mare. […] E ora le grosse barche del mare potevano risalire la corrente fin dove cominciavano gli argini. Poco più a monte di quel punto era sorta la città, nei tempi antichi. Così si poteva dire che la città fosse stata originata dal fiume, perché il fiume le dava tre cose indispensabili a quei tempi, acqua e sicurezza e modo di comunicare con la costa dove si apriva il mondo».
Traboccano di letteratura anche le acque del Piave, dove Comisso, «fanciullo avido di vita» si bagnava con gli amici, dove «il verde trasparente del fiume che si specchia oltre i fusti alti di pioppi» ispirava Parise, dove «al passo-barca del borgo di Balzè» si poteva incontrare Andrea Zanzotto, dove, un po’ più a valle «il ragazzo del basso Piave» Ernest Hemingway visse gli orrori della guerra. Luoghi tutti che la Ciclabile del Piave permette di conoscere, anche perché, in bicicletta, ci dice Comisso, «vedere la terra da una posizione un po’ più elevata che camminando è come dominarla».
In quella stessa terra Andrea Zanzotto fu partigiano, insegnante e poeta, in piena immersione nella natura circostante – il Piave, i palù, Rolle, i Colli Euganei, le montagne del Cadore – che diede forma all’uomo e allo scrittore, nella poesia, Haiku for a season, «chi pedala così lentamente la bici raggiante nei vasti prati lontani, là sui confini? Forse cercava pepite, forse sapeva», nella prosa, Luoghi e paesaggi, «qui, infatti, in questa zona del Quartier del Piave – per- ché è una zona, non è un monumento il Quartier del Piave – possiamo dire che troviamo ancora conservata quella profonda, viva partecipazione delle piccole opere umane alla carnalità stessa della terra, del paesaggio. Qui nel Quartier del Piave su una base popolaresca, così umile, naturalmente si sono fatti sentire anche gli influssi di una cultura di alto livello e nelle nostre zone qui intorno abbiamo appunto monumenti importantissimi come l’Abbazia di Vidor, sulle rive del Piave, l’altrettanto bella e famosa Abbazia di Follina, il castello di Cison di Valmarino».
Zanzotto aveva gambe ben allenate, tanto da raggiungere anche il passo di San Boldo, poco distante dalla località San Pellegrino, un quartiere di Belluno, dove nacque Dino Buzzati. Lì trascorse l’infanzia, e lì tornò di estate in estate: Buzzati amò visceralmente quei luoghi, e in età adulta la sua passione si espanse alla bicicletta, al ciclismo, nel momento in cui, nel 1949, seguì il Giro d’Italia per il Corriere della Sera, «guardateli, mentre pedalano, pedalano tra campi, colline e selve. Essi sono pellegrini in cammino verso una città lontanissima che non raggiungeranno mai: simboleggiando in carne ed ossa, come in un quadro di pittore antico, la incomprensibile avventura della vita. E questo è romanticismo puro. Sono dei cavalieri erranti che partono a una guerra senza terre da conquistare: e i giganti loro nemici assomigliano ai famosi molini a vento di Don Chisciotte…», e ancora, «tu non badarci, bicicletta. Vola, tu, con le tue piccole energie, per monti e valli, suda, fatica e soffri. Dalla sperduta baita scenderà ancora il taglialegna a gridarti evviva, i pescatori saliranno dalla spiaggia, i contabili abbandoneranno i libri mastri, il fabbro lascerà spegnere il fuoco per venire a farti festa, i poeti, i sognatori, le creature umili e buone ancora si assieperanno ai bordi delle strade, dimenticando per merito tuo miserie e stenti. E le ragazze ti copriran di fiori».
C’è poi chi sostiene che uno dei più grandi narratori del Novecento ebbe una svolta artistica proprio in Veneto: nel 1918, Ernest Hemingway, che guidava le ambulanze della Croce Rossa americana, si trovò nel mezzo della ritirata dell’esercito italiano dopo la disfatta di Caporetto. È facile immaginare come si muovesse l’autore di Addio alle armi e Di là dal fiume e tra gli alberi tra le strutture sanitarie e militari della zona: in bicicletta, naturalmente, «“forse la guerra sarebbe finita” – disse Ajmo. Camminavamo per la strada più in fretta che potevamo. Il sole cercava di spuntare. Lungo la strada vi erano siepi di more. Attraverso le siepi vedevo i nostri due grossi furgoni piantati nel fango. Anche Piani si voltò a guardare. “Dovranno costruire una strada per portarli via” – disse. “Per Cristo, se avessimo la bicicletta” – disse Bonello. “C’è l’uso della bicicletta, in America?” – chiese Ajmo. “Una volta c’era”. “Qui è una gran cosa – disse Ajmo – una bicicletta è una cosa splendida”».
E allora perché non visitare i luoghi tanto cari a Comisso, Berto, Zanzotto, Buzzati ed Hemingway? I percorsi loro dedicati non mancano di certo, e La bicicletta. Dicono di lei. Pedalate d’autore puntualmente li segnala, tra le citazioni dei tanti scrittori, poeti e artisti che oltre che in Veneto hanno inforcato la bicicletta in Emilia–Romagna, in Friuli, in Lombardia, in Piemonte…
C’è di che perdersi tra le pagine, e magari anche nella realtà, pedalando, portandosi dietro proprio la nuova guida letteraria di Elleboro Editore…
La bicicletta è ora in libreria, e aspetta solo di essere letta!
Antonio Scerbo