Con La bicicletta. Dicono di lei. Pedalate d’autore non potevamo che passare anche per la Romagna, tappa obbligata per gli amanti della bicicletta e di tutto quel mondo che la dueruote porta con sé.
Chiedersi però che cosa in fondo sia la Romagna è quanto mai lecito: si tratta in effetti di un territorio senza un’autonomia amministrativa, ma d’altra parte facilmente individuabile per storia, tradizione e peso specifico letterario all’interno dei suoi pur labili confini, «questa Romagna, tanto per intenderci, dove comincia e dove finisce? Nessuno lo ha mai stabilito con precisione. Nè i Romani che l’associavano a casaccio persino alla Liguria, né i Bizantini da cui ebbe il nome, né i signorotti che la fecero a brandelli, né i papi che, ricucendola, tennero gli orli abbondanti aggiungendovi Bologna e Ferrara. Per segnare una linea di divisione tra l’Emilia e la Romagna, Antonio Baldini suggeriva di scendere da Bologna verso Imola, chiedendo da bere ad ogni casolare: finché vi danno dell’acqua siete in Emilia, dove cominciano a darvi del vino – e bè, il bere, lo chiamano – comincia la Romagna», chiarisce Guido Nozzoli, ne Il pianeta Romagna.
Se si volesse infatti tentare di intravedere le complesse sfaccettature romagnole, non sarebbe sbagliato rifarsi alle parole dei tanti poeti, scrittori e artisti che hanno vissuto o più semplicemente sostato in terra di Romagna.
Storia, tradizione e letteratura in Romagna si incontrano e si condensano: i luoghi e i personaggi, reali o di finzione, che ne sono scaturiti, hanno avuto la forza di incastonarsi nell’immaginario collettivo, scrivendo pagine di cultura e di vita a dir poco memorabili. Si pensi alla Francesca da Rimini di Dante – citata anche da Dino Campana nei Canti orfici, «laggiù nel crepuscolo la pianura di Romagna. O donna sognata, donna adorata, donna forte, profilo nobilitato di un ricordo di immobilità bizantina, in linee dolci e potenti testa nobile e mitica dorata dell’enigma delle sfingi: occhi crepuscolari in paesaggio di torri là sognati sulle rive della guerreggiata pianura, sulle rive dei fiumi bevuti dalla terra avida là dove si perde il grido di Francesca» –, o alla pineta di Boccaccio; oppure alla piadina di Pascoli, o ancora a quello che resta uno dei simboli più amati della Romagna, la bicicletta.
Sia come sia, e con un occhio alla storia, il topos Romagna inizia a diffondersi grazie ai Romani e alla costruzione della via Emilia, che terminava a Rimini, sotto l’arco di Augusto. Non a caso quindi i Bizantini chiamarono Romània, cioè terra dei Romani, la zona intorno a Ravenna. Romània nei secoli divenne Romagna, la terra che Dante collocò «tra il Po, il monte e la marina». Coordinate geografiche che attrassero in breve uomini di lettere e turisti, che ne scrissero in diari e lettere dal valore letterario ormai riconosciuto.
Nel periodo del Grand Tour – il viaggio in voga nel XVII secolo per l’Europa continentale – i ricchi aristocratici si spostavano di città in città alla ricerca di bellezza e conoscenza, «in Romagna, regione che non conoscevo, moltissime città, con le case imbiancate con calce di marmo, sono abbarbicate in cima a varie colline, come stormi di piccioni bianchi. Questo angolo d’Italia racchiude tutta la storia romana; bisognerebbe attraversarlo tenendo in mano Tito Livio, Tacito e Svetonio», scrive infatti François-René de Chateaubriand, e la Romagna fu quindi sosta tra le più ambite, così carica di fascino, per gli imperi che nella storia vi si sono avvicendati – Montesquieu, «niente è più bello di questa Romagna. Ci sono dappertutto belle città, ben costruite e ben fatte in ogni dove. Ciò deriva dal fatto che la maggior parte sono state fondate dai romani, e che (come dice Vitruvio), costruendo una città, si è pensato prima di tutto al luogo. I Papi fecero una grande mossa conquistando le città romagnole dai piccoli tiranni che le tenevano in feudo» –, per l’esilio di Dante, per l’influenza dei Malatesta, per le avventure di Lord Byron…
Bisogna però ammettere che la Romagna e la sua aura devono tanto soprattutto a Giovanni Pascoli, che con le 15 quartine di endecasillabi in rima alternata di Romagna fu come se avesse espanso l’atmosfera tipica della sua terra, «Romagna solatìa, dolce paese»…
Il poeta di San Mauro innalzò poi ancora un simbolo, la piadina, una delle eccellenze culinarie, e marchio identitario, del nostro Paese, «Ma tu, Maria, con le tue mani blande / domi la pasta e poi l’allarghi e spiani; / ed ecco è liscia come un foglio, e grande / come la luna; e sulle aperte mani / tu me l’arrechi, e me l’adagi molle / sul testo caldo, e quindi t’allontani. / Io, lo giuro, e le attizzo con le molle / sotto, fin che stride invasa / dal calor mite, e si rigonfia in bolle: / e l’odore del pane empie la casa».
Ma nel secondo dopoguerra, l’arcadia romagnola lasciò il passo a una narrativa diversa, figlia del boom industriale, e a tonalità inedite capaci di ispirare la penna di Pier Vittorio Tondelli e di Carlo Lucarelli.
Ci piace però chiudere questo nostro nuovo passaggio in terra di Romagna con due citazioni, la prima da Antonio Beltramelli, tratta da L’uomo nuovo, del 1923, e la seconda da Manara Valgimigli, Questa Romagna, 1963, «La Romagna è una terra improvvisa: tragica e burlona. Cova dentro il fuoco. Ha il pudore e la gelosia de’ suoi sentimenti più forti. Non si palesa, qual è veramente, se non tardi a chi l’ama. Regione di estremi, e passionale. Squallida mai. Ingenua piuttosto, capace di impeti mistici e di omeriche risate», e «La Romagna più vera, anche se meno conosciuta; è quella della intimità recondita, della confidenza discreta, della bontà assoluta, dell’amicizia sicura; è quella delle case ospitali che aprono la porta al viandante senza nemmeno sapere chi è e gli offrono ristoro e ricovero. E l’anima più veramente romagnola è quella che sa di buona terra».
Antonio Scerbo