Un piacere senza idee e senza sforzi


Sarà forse il rosso che la caratterizza, «carnale», per Giuseppe Raimondi, e che «richiama il sangue umano», secondo Guido Piovene, a magnetizzare a Bologna gli scrittori. Da sempre.

Ernest Hemingway dirà che è «più dura di Memphis», e non mancheranno di esprimersi su Bologna, Goethe, Madame de Stäel, Charles de Montesquieu, Edgar Allan Poe, Herman Melville. E tanti altri ancora. Come Robert Byron, «all’una del mattino i caffè sono pieni come a mezzogiorno.bologna 2 - elleboro editore Chiudono alle due. Riaprono alle quattro. E ciò contrasta fortemente con quanto accade nella maggior parte delle città italiane che, senza eccezioni, dopo mezzanotte si presentano vuote e silenziose». Poteva allora non esserci posto per Bologna tra le Cartoline in franchigia di Camillo Sbarbaro? «Ho tuffato gli occhi di ingordo nella notte di questa città che mi seduce quanto Genova mi soggioga. Vetrine cangianti, donne che diventano irreali nella nebbia che sfuma e ammorbidisce tutto».

Bologna non risparmia le sue passioni, sembra sovrabbondare, e può capitare che non offra piena corrispondenza, «era l’ora viva del portico; l’ora delle osterie. Il caldo era cresciuto e spremeva il sudore dai corpi. Buttavo la giacca attraversata sulla spalla, facevo il passo pesante, e qualche volta mi provavo a fischiare le vecchie canzoni della malavita bolognese; ma nessuno rispondeva. Le fioriture malate e grandiose d’un canto d’amore non trovavano eco. Del resto, il portico mi era ostile. Non ho mai pensato di entrare in alcuna di quelle osterie, dove gli uomini giocavano la partita ed erano spalleggiati da donne, vecchie o anziane, dalle voci roche», nell’Incanto della città di Francesco Arcangeli.

Bologna. Dicono di leiE i festeggiamenti, i balli e le maschere di Bologna e del suo carnevale? Henry James: «trovai una festa, o per meglio dire due feste, una civile e l’altra religiosa, che si svolgevano in un clima di reciproca diffidenza e di disprezzo. Quella civile, dedicata allo Statuto, costituiva l’unico giorno di vacanza nazionale stabilito per legge — si tratta della data che ricorda in tutto il Paese l’ormai raggiunta Unità, per la quale si dovette pagare un prezzo molto alto — quella religiosa era invece il giubileo di alcune chiese locali. Quest’ultima viene celebrata da due parrocchie bolognesi alla volta e ricorre per ciascuna coppia solamente una volta ogni dieci anni: un sistema, questo, per mezzo del quale i fedeli si assicurano una copiosa ricorrenza di processioni assai costose. Non era mio compito distinguere le pecore dalle capre, il sacro dal profano, coloro che recitavano le preghiere da coloro che se ne facevano beffe; era sufficiente che, mescolate assieme sotto il sole bruciante, empissero quella città così mirabilmente solida, sommergendola in un’onda di vita e di spettacolo. Il combinarsi poi in un sol punto dei due elementi era un evento realmente drammatico. Mentre una lunga teoria di preti e di verginali fanciulle in bianchi veli, recanti ciascuna una candela, si disponeva in ordine in una delle strade, fuori della città si svolgeva la parata delle truppe regie». Ma ad avvertirne ii contrasti fu anche Aldous Huxley, «non era un grande spettacolo; qualche ragazza in domino, qualche studente chiassoso in costume, tutto qui. Pensai alle brillanti esibizioni e mascherate del passato. Divertenti, certo; ma non si dovrebbe rimpiangerle. Perché le esibizioni e le mascherate sono sintomi di cattivo governo.bologna 3 - elleboro editore I tiranni passano la loro vita al centro di uno sfarzoso balletto. Il popolo oppresso, troppo povero per pagarsi i propri divertimenti, è tenuto allegro da queste messinscene regali, completamente gratuite. E nel corso di periodici saturnali gli schiavi possono sublimare i loro istinti ribelli in giochi sfrenati. Se il carnevale è decaduto, lo stesso è stato dell’oppressione. E dove il popolo ha le monetine per andare al cinema, non è necessario ai re e ai papi organizzare i loro balletti».

Giacomo Leopardi trascorse a Bologna diverso tempo tra il 1825 e il 1830, alloggiando al numero 33 di via Santo Stefano, e in una delle sue lettere alla sorella Paolina confida di trovarsi «veramente tra la musica, perché qui a Bologna, cominciando dagli orbi, tutti vogliono cantare o sonare, e c’è musica da per tutto». Qualche mese prima aveva scritto anche al fratello Carlo, «io sospiro però per Bologna, dove sono stato quasi festeggiato, dove ho contratto più amicizie assai in nove giorni che a Roma in cinque mesi, dove non si pensa ad altro che a vivere allegramente senza diplomazie, dove i forestieri non trovano riposo per le gran carezze che ricevono, dove gli uomini d’ingegno sono invitati a pranzo nove giorni ogni settimana».

Ma le suggestioni della bohème di Bologna erano già state colte in tempi non sospetti da Giacomo Casanova, «sono in città parecchi luoghi ne’ quali è dato procurarsi tutti i piaceri che si trovano a Bologna; ma in nessuna parte si trovano più a buon mercato, né così facilmente e liberamente. […] Non c’è in Italia una città dove si goda maggior libertà e benessere che di Bologna».

pasolini maglia bologna calcio - elleboro editorePiù o meno un secolo dopo, Pier Paolo Pasolini scrive di un amore così grande da essere condiviso, negli anni, dal resto della città, «i pomeriggi che ho passato a pallone sui Prati di Caprara (giocavo anche sei-sette ore di seguito, ininterrottamente: ala destra, allora, e i miei amici, qualche anno dopo, mi avrebbero chiamato lo “Stukas”: ricordo dolce bieco) sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso. Allora, il Bologna era il Bologna più potente della sua storia: quello di Biavati e Sansone, di Reguzzoni e Andreolo (il re del campo), di Marchesi, di Fedullo e Pagotto. Non ho mai visto niente di più bello degli scambi tra Biavati e Sansone (Reguzzoni è stato un po’ ripreso da Pascutti)».

E in città sarebbe poi sbarcato uno dei più grandi giocatori della storia del calcio, Roberto Baggio. «Il buddista aveva trent’anni ed era reduce da tutto, nelle sue complesse vite precedenti. Da catastrofici infortuni alle ginocchia, da gol sovrumani, da lampi di classe eccelsa, dal rigore sbagliato nella finale con il Brasile, dall’insofferenza di molti allenatori nei confronti di un campione che non si sacrificava al modulo, come previsto dai sacri testi. Quindi nella Bologna rossa, e gaudente, socialista e opulenta, arrivava un asso caro più agli dei che ai teologi del calcio. Un esteta, un atipico, un solista, un gingillo, un soprammobile», racconta Edmondo Berselli in Quel gran bel pezzo dell’Emilia.baggio bologna - elleboro editore

Bologna, ancora prima di danzare con i dribbling di Baggio, secondò la cadenza di un ballo i cui passi, descritti da Jules e Edmond Goncourt, forse seppero come intercettare e riorientare i moti dell’animo della città tutta, «e in questo valzer eterno e senza requie che un eterno ritorno di ottoni che strombazzano a perdifiato fa frullare e rifrullare, uomini e donne sembrano perdersi e spogliarsi di loro stessi. È come se in loro non vivesse e non pensasse altro che una molla girevole. Il loro sguardo si perde. I loro occhi sgranati si fanno ebeti e diventano fissi come quelli degli automi, mentre i loro tratti si distendono e si rasserenano sotto l’effetto di un piacere senza idee e senza sforzi, come i volti dei morti che si riposano cullati dal nulla».

C’è chi pagherebbe a peso d’oro per vivere una simile sensazione.

Bologna è uno scrigno di emozioni.

 

Antonio Scerbo


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