C’è una strada a Milano che tanto ha da raccontare della città meneghina e dell’Italia intera. Si tratta di via Bigli, dove, in un appartamento, la contessa Clara Maffei ospitò personalità illustri, dando vita a un salotto la cui eco si diffuse per tutta Europa, «era in Milano un tempio dell’arte e della poesia, ove era un grande onore e una promessa di gloria essere introdotti. Noi avevamo riverito la padrona di casa, creatura di elezione, una delle più adorabili dame della grande società milanese del secolo scorso, e che doveva sparire, poco dopo, ma avendo fatto tutto il maggior bene dello spirito a coloro che si erano accostati a lei, alla fine beltà del suo viso, beltà sfiorita ma dolce, anche in vecchiaia, al fascino della sua grazia e del suo intelletto», scrive nel 1920 Matilde Serao in Ricordando Neera: conferenza tenuta il 10 maggio a Milano nella sala della Società del Giardino.
A intrattenersi nel salon di Clara Maffei, tra gli altri, Ugo Foscolo, Guido Gozzano, Francesco Hayez, Franz Liszt, Alessandro Manzoni, Giuseppe Verdi.
Ippolito Nievo, ne Le confessioni di un italiano, autobiografia fittizia e soprattutto una delle opere più importanti del Risorgimento italiano, narra attraverso il protagonista Carlo Altoviti di una dama che ha tutte le sembianze di Clara Maffei, «è una riccona sfondata, che ha corso il mondo a’ suoi tempi, ma ora dopo una vistosa eredità s’è rimessa in regola ed ha voce di compita signora: non più colla lanuggine del pesco sulle guance, ma vezzosa ancora e leggiadra al bisogno; massime poi in teatro quand’è un po’ animata. Figurati! Essa mi ha preso a volere un bene spropositato ed ogni volta che passo per Milano mi vuole presso di sé: mi ha perfin detto in segreto che se avesse vent’anni invece di trenta vorrebbe partir con me per la guerra». E Giosuè Carducci, diversamente da Nievo senza alcuna finzione, nel 1873 scrive della contessa in una lettera all’amata Carolina Cristofori Piva, «conosco l’apprentissage dell’alta scuola milanese, un che tra l’aristocratico svanito e insipido e il borghese alla vaniglia. È un genere che amo e gusto pochissimo, benché mi piaccia infinitamente la signora Clarina, che mi apparve molto, molto superiore alla sua fama, ma se bene dai brevi bigliettini che mi ha mandati non sembri molto sicura nemmeno lei in quella brutta faccenda che è lo scrivere».
Clara Maffei con il suo salotto divenne il simbolo della Milano romantica e patriottica, di quel sentimento che animava lo spirito di tutto il Vecchio Continente e che Honoré de Balzac aveva saputo raccontare con le sue opere, tanto da essere considerato ai tempi lo scrittore di riferimento. E quando nel 1837 per un incarico dei conti Guidobaldi Visconti Balzac si ritrovò a Milano, venne in breve introdotto da Fanny Visconti Sanseverino nel salon di Clara Maffei, allora in via Monte di Pietà, subendo immancabilmente il fascino della dama, «non dimenticherò mai, dovessi vivere un secolo ancora, l’impressione ch’ella fece su di me. La contessa era piccola, ma si sarebbe cercato invano, e da parte mia non ne ho mai trovate, figura più elegante, più snella e più morbida. Capelli neri come l’ebano, brillanti come jai, ricadevano in grossi boccoli lungo le sue guance colorite». In preda all’infatuazione, lasciata Milano, l’autore de La commedia umana dedicò a Clara Maffei anche un racconto, La fausse maitresse.
Un alto grande nome fatalmente attratto dal salotto della contessa fu quello di Giuseppe Verdi, all’epoca – era il 1842 – balzato agli onori delle cronaca per il suo Nabucco. Lucio D’Ambra, in un racconto dal titolo Viva V.E.R.D.I. pubblicato sul Corriere della Sera nel 1938, immagina l’incontro tra il compositore e un’altra celebrità dei tempi, Alessandro Manzoni, ovviamente nel salon più rinomato, «e la padrona di casa è in piedi. Tutti sono in piedi; chè entra qualcuno che è come un re. E in piedi è anche un signore attempato, segaligno, dal volto sottile, coi capelli bianchi, vestito di nero, che viene avanti verso Verdi, a passetti minuti, la mano tesa, il sorriso aperto negli occhi candidi e onesti. È Manzoni, che non parla. Né sa parlare, davanti a quell’uomo e a quel silenzio, Verdi. La mano è tesa. Bisogna dunque prenderla. Non può finire così, da pari a pari. Tu mi dai la mano io la do a te e tutto è fatto? Nemmeno per sogno. E Verdi prende la mano di Manzoni, ma non l’alza, come tutti guardandosi si aspettano, verso il suo petto, cioè verso il suo cuore. Vedono invece tutti – e ne hanno le lacrime agli occhi – Verdi chinare il suo volto su quella mano che ha scritto un capolavoro e stamparvi un bacio, un bacio di rispetto un bacio di umiltà, a cui Manzoni si sottrae ritirando la mano e dicendo: – Volevo conoscerla maestro, per gridar anch’io: “Viva Verdi!” come tutta l’Italia».
Verdi fu per Clara Maffei un incontro a dir poco determinante, se si pensa che fu proprio il compositore a presentarle l’uomo di cui si innamorò, Carlo Tenca. La dama pose quindi fine al matrimonio con Andrea Maffei e si trasferì in via Manzoni, ospitando tanti tra i protagonisti della rivolta delle Cinque giornate, Carlo Cattaneo, Carlo de Cristoforis, Enrico ed Emilio Dandolo, Luciano Manara, Emilio Morosini.
L’insurrezione armata avvenuta tra il 18 e il 22 marzo 1848 venne romanzata a più riprese, e a raccontarne la gloria fu anche Luciano Bianciardi, in Daghela avanti un passo, «i milanesi vissero in quei giorni di reciproca solidarietà: chi aveva, dette liberamente agli sprovveduti. Ogni casa patrizia teneva la porta aperta a chiunque, scioglieva ben volentieri i cordoni della borsa, vuotava le dispense, imbandiva le tavole. Nessuno morì di fame perché tutti potevano entrare e sedersi al desco, ciascuna casa era la casa di tutti. E, si badi bene, in quei cinque giorni di “disordine” regnò in città un ordine nuovo, spontaneo, entusiastico. Basti pensare che non fu segnalato un solo caso di furto».
E se in definitiva gli ospiti del salotto di Clara Maffei e la stessa contessa incarnarono la quintessenza dell’Ottocento, tra afflati romantici e slanci patriottici, la riflessione di Maurizio Cucchi, in La traversata di Milano, del 2007, apre a un confronto a tratti impietoso con il passato, sul quale, ora, sembra più che mai doveroso soffermarsi, «Via Montenapoleone. Bellissima ed elegante, come sempre. Ma il contrasto nasce da ciò che ha rappresentato storicamente quando era il cuore della rivolta delle Cinque Giornate, e ciò che è ora, simbolo e vetrina della moda. Al numero 21 c’è Palazzo Dozzio, che ricorda quei giorni eroici del 1848. Gli insorti avevano trovato l’opposizione degli austriaci, nella prima delle Cinque Giornate, proprio in Via Montenapoleone, ed erano andati a rifugiarsi in quel palazzo, che apparteneva alla famiglia Vidiserti e arrivava dall’altro lato fino a via Bigli. E sempre in quella casa, come ricorda una targa, si riunivano i capi della rivolta. Zone, dunque, di eventi decisivi e straordinari, incongrui, in fondo, rispetto a un presente volto al semplice apparire».
Del salotto di Clara Maffei in via Bigli e della Milano che ha sedotto poeti, scrittori e artisti si può leggere in Milano. Dicono di lei. La città nella letteratura, e se qualcuno volesse testare le proprie conoscenze sulla città, niente di meglio che Milano. Dicono di lei | Caccia al tesoro letteraria, un progetto di Elleboro Editore, prodotto da Minima Theatralia e Duperdu, con la collaborazione di Mammafotogramma e X City Tours. Si tratta di un tour virtuale per le vie della città cui è veramente facile partecipare: serve un solo click sulla pagina dedicata del sito di Elleboro Editore e la voglia di mettersi alla prova cercando di superare i quesiti su Milano che verranno posti uno dietro l’altro… E solo chi avrà la capacità di raggiungere a pieni punti la meta otterrà il tesoro.
Se si desiderasse saperne di più, si può leggere l’articolo dedicato a Milano. Dicono di lei | Caccia al tesoro letteraria, con in fondo anche le FAQ (Frequently Asked Questions) relative all’evento.
Antonio Scerbo