Tutto ei provò


Duecento anni fa, il 5 maggio 1821, a Sant’Elena moriva Napoleone Bonaparte, chiudendo così un’intera epoca. Sull’isola l’Imperatore visse in esilio sin dall’ottobre del 1815, insieme a un gruppo di fedelissimi, e tra questi il funzionario Emmanuel de Las Cases. emmanuel de las cases - elleboro editore

Quando il 17 luglio del 1821 Alessandro Manzoni lesse la Gazzetta di Milano del giorno precedente, seppe della morte di Napoleone, e nell’arco di tre sole giornate compose Il cinque maggio, celebrando l’uomo che aveva segnato con le sue gesta il Vecchio Continente. L’ode ebbe ampio seguito: Johann Wolfgang von Goethe la tradusse in tedesco nel 1822, e la pubblicò sulla rivista Ueber Kunst und Alterthum nel 1823. alessandro manzoni - elleboro editore

Ancor prima di Manzoni, nel 1814, a comporre un’ode sull’Imperatore era stato George Gordon Byron, meglio noto come Lord Byron: in Ode to Napoleon Buonaparte i toni sono in realtà polemici.

L’opera che però restituisce in pieno la cifra di Napoleone Bonaparte è il Memoriale di Sant’Elena, di Emmanuel de Las Cases. Non una storia facile, quella del Memoriale. Sequestrato nel 1816 – quando Las Cases veniva costretto a tornare in Europa, accusato di aver inviato delle lettere al di fuori dell’isola – perché riportava giudizi poco lusinghieri sul governatore Hudson Lowe per via del trattamento che questi riservò all’Imperatore, il manoscritto fu restituito solo alla morte di Napoleone, nel 1821. E a partire dalla sua prima pubblicazione, nel 1822-1823, una serie di rimaneggiamenti e nuove edizioni, fino al 1842. Per quanto complicata, fu la storia di un successo. memoriale di sant'elena - elleboro editore

Las Cases alimenta quindi il sogno di una vita di battaglie e conquiste, di imprese capaci di introdurre nel sovrumano. Il bonapartismo trova infine il suo testo di riferimento, la sua condensazione. Tra i discorsi, le confessioni e i ricordi, il funzionario e scrittore annota la natura politica ultima dell’Imperatore: l’autorità e la legittimità popolare, l’opinione pubblica che sopravanza il parlamentarismo, la preminenza del potere esecutivo – machiavellismo di Napoleone – anche sulle assemblee legislative perché non aderenti all’interesse nazionale, elitarismo e aristocrazia, centralizzazione, messa al bando di ogni giacobinismo – «l’uomo della Rivoluzione» aveva a suo dire emendato la Francia dai crimini commessi nel decennio rivoluzionario.

Per Marcel Proust il Memoriale fu un «grandioso edificio della memoria».

Non manca tra le pagine la vena malinconica dell’uomo, una nota in dissolvenza nonostante la gloria, che nel suo essere imperitura, a tirar le somme, sembra comunque distare dalla felicità.

lord byron - elleboro editoreIn contemporanea, dall’altra parte del mondo, Lord Byron visitava i luoghi scenario della caduta dell’Imperatore. Nel suo viaggio in Europa, il poeta era accompagnato da John William Polidori, suo segretario e medico.

A proposito di Waterloo, leggiamo – era il 17 maggio del 1816 – in The Diary of John William Polidori, 1816, relating to Byron, Shelley etc., «Questo era il villaggio [Mont-Saint-Jean] da cui viene il nome francese della battaglia, credo, perché era la posizione che Napoleone cercava di guadagnare. La vista della pianura, mentre avanzavamo sulla destra, ci ha colpito come un camposanto delle speranze di cui il coraggio e la guerra hanno fatto scempio. Rilievi gentili, abbastanza da offrire vantaggio a chi è sotto attacco – poche siepi – e pochi alberi. Non c’erano segni di devastazione tali da attirare l’attenzione di chi passa: se non fosse per l’insistenza dei ragazzini e lo scintillio dei bottoni che tengono in mano, della guerra non ci sarebbe alcun segno».

Polidori è noto per Il Vampiro, pubblicato nel 1819. Prima di allora, nessun altro racconto sulla leggendaria demoniaca creatura.

Il romanzo nasce da un’idea di Lord Byron: sempre nel maggio del 1816, il poeta, che si era accasato nei dintorni di Ginevra, e che insieme a John William era solito ospitare, tra gli altri, i coniugi Shelley e intrattenersi nella lettura di storie di fantasmi, in un giorno di pioggia decise di stuzzicare la fantasia dei presenti invitandoli a scrivere un racconto gotico. Fu un’intuizione assai proficua; oltre a Il Vampiro, ne nacque infatti Frankenstein. Le tinte fosche non abbandoneranno però Polidori, che nel 1821 morirà suicida. john william polidori - the diary - elleboro editore

Ancora dalla stessa pagina del diario: «Abbiamo cavalcato sul campo di battaglia, il mio amico  [Byron] cantava una canzone turca – io ero in silenzio, intento a galoppare sul campo, il più bello che si possa immaginare per una battaglia. La guida ci ha detto che l’unica cosa che gli è stata raccontata dalla guida di Buonaparte dopo la battaglia è che questi aveva solo domandato la strada per Parigi, e non aveva detto nient’altro». E qualche riga più in là, «Dopo aver visto il campo di battaglia, e ricordando l’immenso coraggio dei soldati, non riesco a dare a Wellington la palma di condottiero che gli hanno attribuito tanti suoi ammiratori. Napoleone bevve un solo bicchiere di vino dall’inizio della battaglia alla fine della sua fuga».

Ben altro liquido contiene il bicchiere di cui ci racconta il norvegese Joseph Gries ne L’Imperatore: «L’oceano bagnava le gambe dell’Imperatore, come il lenzuolo del mio palazzo, a Parigi, all’Elba, a Vienna, pensò lui. Dalla giacca, Napoleone estrasse un bicchiere, apparteneva al servizio dello zar. Finse di non ricordare la capitale deserta, la capitolazione, la neve, “come se l’intero universo si sgretolasse sopra di me, cadendomi in grembo”, aveva scritto alla sorella Paolina. Ogni mattina raccoglieva un pezzo di oceano con il bicchiere e lo beveva. “L’unica cosa a cui mi si può paragonare è l’oceano”, aveva detto, anni prima – quanti? quando? –, a Vienna, rabbioso, l’Imperatore. L’acqua era spessa, gli sembrava di inghiottire legno. Napoleone assaggiava l’oceano per sapere quante navi, ora, lo solcassero, quali battaglie stessero progettando gli inglesi, quali ingiurie si stipulavano a Parigi. Il mare diceva tutto al re, era il suo suddito prediletto. Ogni mattina il mare gli sussurrava le malignità dei suoi nemici, i pensieri di tutti i potenti della terra – sempre gli stessi, infine. Come se il bicchiere fosse una bocca e il mare una lingua infinita, Napoleone era informato di ogni infimo segreto che agitava gli imperi e rendeva fragile la sostanza degli Stati. Sapeva – e sorrideva».

Viene da pensare al verso di Manzoni, che fende come una sciabola l’uomo e la storia, «Tutto ei provò».

napoleone bonaparte sant'elena - elleboro editore

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Scerbo


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