La chiusa della poesia di Eugenio Montale, “La speranza di pure rivederti”, comparsa nella raccolta “Le occasioni” del 1939, destò tra i lettori modenesi una certa curiosità per quei versi tra parentesi, nei quali l’autore accenna all’occasione che aveva scatenato il ricordo: l’incontro con il servitore gallonato con gli sciacalli. Ma cosa ci facevano a Modena degli sciacalli? Il poeta abbozzò un chiarimento molti anni dopo, con un racconto su “Il Corriere della Sera” del 16 febbraio 1950. I protagonisti di quella storia sono Mirco e Clizia, due nomignoli coi quali il poeta usava chiamare se stesso e la donna amata e lontana, Irma Brandeis, una giovane americana che aveva conosciuto nel 1933.
Irma e Drusilla
In quel periodo Montale lavorava a Firenze come direttore del Gabinetto Vieusseux, erano gli anni del fermento culturale e poetico italiano. I massimi intellettuali del secolo scrivevano su “Solaria” e altre riviste e si incontravano al caffè delle Giubbe Rosse. Ma erano anche gli anni del fascismo ed Irma fu costretta a fuggire dall’Italia per tornare in America, a seguito dell’entrata in vigore delle leggi razziali. Montale non ebbe il coraggio di seguirla oltreoceano perchè aveva un’altra compagna in Italia, Drusilla Tanzi, la sua futura moglie. E così la relazione con Irma divenne epistolare: 155 lettere coltissime e piene di straziante desiderio fino al 1939. E poi la dedica della seconda raccolta di poesie, “Le occasioni”, appunto.
Gli sciacalli
Uno dei componimenti della raccolta è il mottetto modenese del 1937 dove compaiono i due cuccioli color sciampagna che risultano poi essere sciacalli. Ma quai nuovi membri del bestiario poetico che Montale aveva inventato per la sua Clizia rimasero misteriosi. Il poeta non chiarì mai se li vide realmente o li inventò, finchè molti anni dopo il filologo modenese Aurelio Roncaglia rivelò che i due strani cani a Modena esistevano davvero ed appartenevano al preside Fabbri che li aveva trovati quando lavorava nelle colonie. A portarli a spasso ogni giorno sotto il portico del Collegio era il bidello dell’isituto tecnico, sempre in divisa.
Montale e Delfini
Montale conosceva la città anche attraverso i racconti del suo amico Antonio Delfini. Si erano conosciuti nel ‘34 a Firenze alla trattoria Lacheri ed erano andati insieme a Boboli, a sentire l’Alceste di Gluck. La poesia “Costa San Giorgio”, dedicata sempre ad Irma, era uscita proprio sulla rivista che Delfini finanziava e tra i due si era instaurata una relazione scanzonata. “O Delfino – scriveva il poeta all’amico nel giugno 1935 – non presentarti senza un bottiglione nero e denso come la pece, poltiglioso come l’averno, fetido come un pozzo di sterco. Consegnami la matrice per tre generazioni e Iddio te ne renderà merito per tutti i secoli. Scriverò un poema per ringraziarti”. Nel maggio dello stesso anno Montale aveva fatto parte della giuria del concorso letterario Città di Modena, vinto dal poeta locale Guido Cavani. E l’anno successivo, una cena con Delfini a Firenze, nella villa di Josef Forman, ispirò un racconto per il “Corriere dell’Informazione”. Nell’estate, mentre era in vacanza a Cortina, Montale scrisse al modenese un’altra cartolina burlesca: “maialle! mi occorre Marta cane pechinese, Cerusico, Leone della Goldwin, Re Luigi e il n.5 e i castelli in Ispagna e la miss umanitaria (tutti della Perugina). Vedremo che cosa fare, manda a Firenze. Io sono qui di passaggio molto Kubo. E poca intelligenza”. Negli stessi giorni Delfini annotava nel diario: “per un lungo periodo ho parlato di Montale senza conoscerlo, senza averlo veduto e senza averlo letto”.
La M di Modena
Nel ‘40 il poeta recensì nuovamente “Il ricordo della Basca” su “Il Tempo”: “Nelle novelle è sempre ammirevole il senso di chi fa centro spontaneamente in un paese posseduto: la ‘M.’, la Modena che inquadra i suoi squallidi eroi di commedia s’allarga, cede senza resistenza alla facoltà che ha Delfini di riflettere su uno sfondo più vasto del vero i triti fatti delle sue memorie d’infanzia. Qualità tutte che fanno di Delfini una sicura promessa della nostra narrativa”. L’anno successivo, quando capita il semiserio episodio di un duello tra Delfini e il poeta Mario Luzi, il modenese sceglie proprio Montale come padrino. La relazione amicale prosegue negli anni della guerra: “Domani Leli, Leoni e persino Montale saranno a casa mia – scrive Delfini nel gennaio del ’44 – che farò?”. E ancora nel 1947 Montale rende un omaggio letterario alla città dell’amico con il racconto “Le rose gialle”. Infine nel ‘56 recensisce e consacra per la terza volta “Il ricordo della Basca” sul “Corriere della Sera”.