L’estate è sì una stagione, ma forse è ancor di più i moti dell’animo che è capace di suscitare, quasi fosse tra le snowdomes modello di luce e calore, «una nuvola si forma nel cielo come un’immagine nel mio cervello, il vento soffia come io respiro, un arcobaleno attraversa due orizzonti ed è il tempo necessario al mio cuore per riconciliarsi con la vita, l’estate scorre come passano le grandi vacanze», scrive Michel Tournier ne Le meteore, condensando sensazione, sentimento e sogno.
E da un paio di anni a questa parte, a causa di quella forza maggiore e virale che costringe a rintanarsi, l’estate è diventata sinonimo di riconquistata libertà, ossigeno e distensione.
C’è quindi tutto il diritto di lasciarsi sedurre, forte è il richiamo, e chiara la voce della Romagna: andiamola a visitare!
La Romagna di Elio Pagliarani e delle sue passeggiate con la moglie Cetta sul lungomare di Viserba, fino alla villa Serena di Canto d’amore e Pro-memoria a Liarosa, «C’era villa Cammeo (Cameo e Pincherle, alta borghesia ebraica, università di Bologna) con parco grandissimo, vigilata da mastini ringhiosi e terrificanti. C’era villa Campogrande, dove fu spesso ospite il grande Moissi, (non è rimasto nulla, tutto lottizzato, alberghi e condomini); non lontano da quella, la più modesta come dimensioni e spazio, ma orgogliosamente in riva al mare, e in bel rilievo come fosse su un picco, Villa Serena, che fu dei Boncompagni-Ludovisi (ora non più isolata e piuttosto intristita – ma sempre nitida nel mio Canto d’amore), la Romagna di Alfredo Panzini e della Casa Rossa a Bellaria, tra i pescatori del luogo, «non credo che sappiano precisamente qual è il mio mestiere. Dire, scrivo, non dice nulla per loro. Dire, artista, sarebbe presunzione». Ma si può forse tacciare Viaggio di un povero letterato di superbia? Tutt’altro: «io la fabbricai la piccola casetta – sì, è vero – per mia pace e de’ miei, ma anche per ricoverare vecchie cose, vecchie masserizie, errabonde come me. Ma quando di luglio, alle quattro del mattino, spalancavo gli scuri, e dalla gran finestra entrava, io non so bene, se la luce dei pianeti e delle stelle o del nuovo giorno, e poi il fiammeggiare dell’aurora dal mare, era una gran letizia, una gran frescura: e, nel silenzio profondo, io udiva un bisbigliare tenue: “ringraziamenti”».
La Romagna che fu nientemeno che di Leonardo da Vinci, che abbozzò su carta il collegamento tra il villaggio di Cesenatico e il mare, nobilitando il luogo e quello che sarebbe poi diventato il Canale Leonardesco. Dirà Marino Moretti: «Cesenatico è tutta qui». Il poeta della piccola umile vita di provincia, che si defila tirando le somme, «un canale dunque che divide sinuoso le case in due strisce quasi uguali, fino al verde nuovo e alle case nuove, che sono i villini dell’estate annunzianti oggi gli svaghi del mare, il dolce arenile, la flora spinosa, le stelle marine, scherzi e ricami dell’onda. Due rive, due fondamenta quasi veneziane, in cui si riassume il villaggio di pescatori, divenuto ormai cittadina: il ponte dai balaustrini lindi che allaccia le rive, sostituisce alla meglio il vecchio ponte a schiena d’asino che io vedo con gli occhi della fanciullezza e che mi pare al ricordo gigante. Quanto tempo è passato da quando la vita del paese pareva si svolgesse tutta sul ponte? Ora il paese si è rintonacato. Sfoggia come può il suo cemento, le sue insegne, i suoi balconcini male appiccicati e le osterie vere e proprie son relegate nei vicoli, ed io, sì, ammiro l’arte e il progresso, ma anche vorrei ritrovare nell’architettura del mio paese un riflesso dell’antico abbandono».
La Romagna della storica Trafila Romagnola di Garibaldi, che da San Marino braccato e in fuga con i suoi verso Venezia trova solidarietà tra le paludi e le valli ravennati, giungendo con Anita incinta e sofferente a Mandriole, nella fattoria Guiccioli, e lì perdendo per sempre la sua amata. Era il 1849: «Sette e mezzo di sera, 4 agosto. Anita fu trasportata alla fattoria Guiccioli, vicino alle case sparse che formavano la frazione di Mandriole. Ben costruita, spaziosa, la fattoria sorgeva tra i vigneti, ma le canne e la landa desolata della palude meridionale arrivavano fin quasi alla porta. Le ultime parole, gli ultimi pensieri di lei furono per i suoi figli. Peppino la strinse forte tra le braccia. Arrivò finalmente il buon dottor Nanni. Il Generale lo supplicò di tentare di salvarla. Il proprietario della fattoria, Ravaglia, portò un materasso. Dopo averla adagiata, Michele Guidi, Garibaldi, Leggero e il dottor Nanni la portarono in casa, salendo fino a una camera in cima alle scale. Morì prima di arrivarci. Garibaldi scoppiò in un pianto disperato. Non riusciva a separarsi dal suo corpo. I soldati austriaci stavano per irrompere nella fattoria», leggiamo in Anita. La donna che insegnò a Garibaldi ad andare a cavallo, di Anthony Valerio.
La Romagna tanto simile alla Sardegna di Grazia Deledda, «sento di essere già la padrona del luogo, tutto mi piace: rivedo l’azzurro del cielo, e nell’alto del mare sento l’alito stesso della speranza». L’autrice di Canne al vento, prima di innamorarsi definitivamente di Cervia, chiedeva informazioni sul litorale romagnolo al poeta Marino Moretti, «io vorrei un po’ vedere quest’Adriatico che non conosco». E da lì, nel 1920, prima un soggiorno a Villa Igea, poi l’acquisto di una casa, sul mare, ribattezzata Caravella: dava sul viale Cristoforo Colombo. In Agosto felice la scrittrice premio Nobel ritrae i giorni del suo soggiorno estivo – «è una felicità un po’ stracca e monotona, la nostra, appesantita dal caldo sciroccale di quest’agosto variabile, in riva al mare. Nulla ci manca; tutto, anzi, pare esclusivamente nostro. Nostra la casa, con intorno i freschi pioppi del Canada sempre sorridenti e danzanti, col mare blu e il cielo lilla fra i tronchi sottili, il suolo sparso di foglie che al primo sole sembrano davvero monete d’oro; e dall’altro limite la strada litoranea asfaltata e coperta di rena, sulla quale scivolano veloci e silenziose le automobili in viaggio estivo» – e la visita che le fece nel 1935 Giuseppe Ungaretti, «mai come questa sera, nel vibrante cerchio di spiriti riuniti intorno a lui, come i raggi della ruota intorno al pernio, abbiamo sentito il mistero di forza, che la potenza di sentimento di un uomo può muovere nel cuore dei suoi simili». Il poeta ebbe modo di tornare a Cervia: il 25 agosto 1958 gli fu infatti conferita la cittadinanza onoraria, e nel dicembre dello stesso anno, ancora a Cervia, conobbe uno dei suoi ultimi amori, la giovane insegnate Jone Graziani, «bacio la punta delle tue dita, hanno il sapore di te, della tua oscurità che mi fa impazzire».
La Romagna dalle ambientazioni borghesi dei racconti di Giorgio Bassani, lungo il litorale di Cervia, pura catarsi per lo scrittore nato a Bologna, «fuggii senza voltarmi indietro. Non mi fermai se non quando vidi il mare. Il mare, il mare! Gridai con tutta l’anima. Era la giovinezza, era l’amore, era la purificazione che ritornava a me col mare. Mai ascoltai con tanta voluttà il canto delle onde frangentisi sulla riva, mai mi mescolai con tanta avidità, con così piena gioia nel grande spirito generoso. Spinsi la nave in acqua. Mi sentivo forte, giovine, ardito. La vela carpì il vento, diede ala al legno. La prora scivolò sempre più veloce andando di cozzo all’onda. Uscii nel largo, nel mare aperto».
E la Romagna, con Ravenna, che apre a uno scenari sconfinato. Che presto condivideremo.
Intanto, però, l’estate imminente e le sue promesse, siano o non siano mantenute.
Del resto la ruota delle stagioni gira; «ma dobbiamo continuare come se non avesse senso pensare che s’appassisca il mare».
Antonio Scerbo