Azioni, cedole, obbligazioni, contrattazioni, transazioni: Milano è anche la capitale finanziaria d’Italia. E Palazzo Mezzanotte era il suo tempio. Nel grande edificio neoclassico della borsa che domina Piazza Affari, fronteggiato dal gigantesco dito medio dello scultore Cattelan, si consumava, fino a 20 anni fa, il rito della moltiplicazione dei capitali.
Tra quei muri oggi silenziosi, risuonavano le grida dei procuratori che compravano e vendevano le azioni affollandosi intorno ai recinti delle corbeille. C’era un microcosmo relazionale, una mimica e un fraseggio tra gli addetti ai lavori (agenti di cambio, procuratori, remissori, clienti assiepati nella balconata) che è stato annientato dalla telematica. Quel mondo scomparso nottetempo, dopo due secoli di storia, resta nei ricordi di pochi e nella letteratura. Carlo Emilio Gadda in particolare ha messo in prosa il rito della creazione del valore nelle descrizioni del mercato ortofrutticolo, dei macelli e infine nel racconto “Alla borsa di Milano” dove ha dipinto l’atmosfera e la frenesia del luogo con tocco ironico.
“L’ingegnere della letteratura” è anche uno dei pochi scrittori che abbia saputo raccontare le truffe finanziarie di inizio secolo, i “garbugli” ai danni degli ignari risparmiatori milanesi. Gli altri luoghi della Milano finanziaria che hanno intersecato la letteratura sono le sedi delle grandi banche. I banchieri di Milano erano potenti già nel rinascimento quando e prestavano denaro alle corti europee e avevano la propria “Casa dei banchieri” presso l’attuale via Armorari. Nel XX secolo il punto di riferimento del nascente capitalismo italiano era la Comit di via Case Rotte (piazza Scala), con il suo mentore, Raffaele Mattioli, definito da Le Monde “il più grande banchiere italiano dopo Lorenzo de Medici”.
Dopo l’emblema della finanza chiusa e dinastica sarà il grande cancello di ferro di via Filodrammatici (ora piazzetta Cuccia) che protegge palazzo Visconti Ajmi, sede di Mediobanca. Fa parte della narrazione sulla città la silenziosa e imperturbabile camminata del suo nume tutelare, Enrico Cuccia uomo tanto ermetico quanto potente. Nella vecchia city milanese uffici e abitazioni erano tutti a portata di passeggiata così che la vita degli affari era sapientemente raccolta, e banchieri e finanzieri facevano a meno di tram e tassì. Ma a partire dagli anni ’70 quelle quattro strade prestigiose e appartate vengono imbrattate da una scia di scandali, truffe e sangue. In via Verdi negli anni 70 c’era la Banca Privata del bancarottiere Michele Sindona, testa di un impero finanziario costruito con il sostegno della mafia e del Vaticano.
Il liquidatore del crack, Giorgio Ambrosoli, viene ammazzato su mandato di Sindona, l’11 luglio 1979 in via Morozzo della Rocca 1, davanti a casa sua. Lo stesso Sindona morirà avvelenato in carcere nel 1986. In piazza Paolo Ferrari c’era invece la sede del Banco Ambrosiano, altro storico crack degli anni 80, il cui presidente Roberto Calvi, “il banchiere di dio” si uccise a Londra nel 1982. Dieci anni dopo in piazza Belgioioiso, nel settecentesco palazzo del Piermarini, di fianco alla casa di Manzoni si uccise invece Raoul Gardini, l’imprenditore romagnolo che aveva scalato la Montedison creando un impero della chimica. Ma siamo ormai alla fine del secolo e la narrazione sulla città cede il passo alla cronaca giudiziario, alle indagini di Mani Pulite, e al giornalismo d’inchiesta che rovescia i cassetti della Milano rampante e scoperchia l’intreccio corrotto tra industria, finanza e politica.